“Extravergine”, diete e salute

olio-di olivaLa medicina e la dietologia moderne hanno ormai unanimemente riconosciuto che se oggi si vuole veramente difendere la propria salute da alcune tra le più insidiose malattie del nostro tempo – tra cui senza dubbio alcuno la più pericolosa e diffusa è da considerare indubbiamente proprio la tanto temuta arteriosclerosi – si deve tornare a ma,giare come si mangiava sessant’anni fa: come appunto quegli anni Cinquanta del secolo scorso, cioè, quando la maggior parte delle popolazioni del Sud Europa stringeva sì la cinghia, ma andava, di contro, anche molto meno dal dottore – per non dire dal “dietologo”, allora quasi del tutto sconosciuto – e questo non perché si voglia far tornare di moda il “come eravamo” degli anni Cinquanta, ma perché effettivamente oggi la nostra alimentazione è del tutto sbagliata mangiamo troppo e male – soprattutto in certe torride stagioni estive – fino addirittura ad ammalarci seriamente; con grave dispendio, oltretutto, di danaro ed economie molto spesso faticosamente accumulati.

Accade così che,mentre gli americani degli Stati Uniti e gli europei del Nord scoprono la “Dieta Mediterranea” (pane, pasta, olio, vino, frutta, verdura, pesce, carni bianche) come provvidenziale ancora di salvezza contro la marea di grassi che ci assedia quotidianamente, gli europei del Sud, e specialmente gli italiani, oggi mangiano, purtroppo, secondo la vecchia “dieta americana“ (molta carne, grassi animali, dolciumi elaborati, pietanze pesanti e super condite, alcoolici a forte gradazione), con tutte le conseguenze prima accennate. Una dieta, quest’ultima, comunque attualmente in un certo senso “ridimensionata” a causa della crisi economica.

Stando così le cose non è retorica, quindi, affermare che è veramente giunta l’ora di riappropriarsi delle nostre antiche tradizioni anche nel settore alimenta: re secondo i dettami della moderna dietologia; e ciò per duplice ordine di motivi: quello di tutelare in primo luogo la salute, e quello – non meno importante – di spendere meno soldi per acquistare all’Estero carne ed altri prodotti alimentari “pesanti”, compresi gli alimenti ad alto tenore di grassi, che potrebbero benissimo essere sostituiti con i genuini prodotti di casa nostra, generalmente più “leggeri”.

E nel recupero degli alimenti genuini facenti parte della antica cultura sud-europea e soprattutto delle sane tradizioni delle varie regioni italiane – proposto in questi ultimi tempi, come già evidenziato, non solo sotto l’aspetto di fattore esclusivamente economico, ma anche e particolarmente come valida occasione per difendere la nostra salute dalle pericolosissime malattie proprie della “società del benessere” – un posto notevolmente importante viene occupato, senza alcun dubbio, dall’olio di oliva. Però, nel contempo, va pure sottolineato a proposito che lo stesso olio di oliva, e soprattutto l’extra vergine – cioè quello fatto solo con le olive spremute tramite molitura meccanicamente (gli oli si fanno, infatti, anche sfruttando particolari reazioni chimiche) – con alle spalle millenni di storia e di cultura, oggi si trova (purtroppo) a dover subire una pericolosa e compatta serie di attacchi, dai quali addirittura stenta a difendersi.

Può sembrare, questo, un paradosso, ma in realtà è proprio così: negli ultimi dieci-quindici anni, infatti il consumo dell’olio extra vergine di oliva “verace” è fortemente diminuito (probabilmente anche a causa dei prezzi particolarmente sostenuti sia al dettaglio che nelle stesse zone di produzione), mentre aumenta di giorno in giorno quello di altri grassi, come gli oli di semi e soprattutto il burro (anche se quest’ultimo alimento risulta pure alquanto caro ma senza dubbio meno “nobile” dell’olio di oliva: extra vergine). E i motivi che hanno portato distintamente larghi strati delle popolazioni di molti Paesi, oltre al nostro, a diminuire sensibilmente  – e in palese contraddizione appunto a quanto propugnato dalla moderna scienza medica e dietologica – il consumo di olio extravergine di oliva a favore di un esagerato consumo di grassi animali o di altri prodotti vegetali, sono molti e di diversa natura: primo fra tutti l’odioso “imbroglio” di una legge che da più di una trentine d’anni si dice che deve essere cambiata radicalmente e che permette ad industriali di pochi scrupoli di scrivere sulle bottiglie “olio di oliva” anche se le stesse contengono per lo più olio di sansa; e poi, ancora, l‘esasperata propaganda di produttori di oli di semi, che magnificano i loro “prodotti” come i grassi più “leggeri” e più digeribili in assoluto.

A questo punto balza subito evidente che due dei problemi che vanno, quindi, risolti al più presto per invogliare le massaie a tornare al consumo assiduo dell’olio extra vergine d’oliva (sia come condimento sano e genuino, che come “grasso” da usare per le frittura stesse) sono: quello di cambiare al più presto una legge vecchia e anacronistica, con una di più facile “lettura” e aderente ai tempi attuali, che permetta a chiunque di essere in grado di capire cosa realmente compra per “olio di oliva”, difendendo così oltretutto i veri nostrani prodotti “tipici”; e quello di “sfatare” la tanto decantata superiorità e “leggerezza” degli oli di semi. Ora, proprio su quest’ultimo falso assunto, oltre che autentico problema, crediamo valga la pena soffermare più adeguatamente l’attenzione, “sollecitando” in particolar modo appunto quelle delle massaie.

Qui, tenendo conto di quanto già sottolineato e cioè che in questi ultimi tempi, diversi e larghi strati delle popolazioni sud-europee sono stati portati dalla famosa “civiltà del benessere” ad un esagerato consumo di grassi, altamente nocivo per la salute specialmente nei mesi estivi – va ora opportunamente “focalizzato” anche l’aspetto in cui viene posto il problema della presenza di sostanze grasse nella nostra alimentazione che è, oltretutto, legato in massima parte alla loro “qualità” piuttosto che alla loro stessa “quantità”. E proprio da tale punto di vista è, pertanto, assai importante distinguere fra grassi che vanno impiegati crudi e grassi che vengono invece adottati nei vari processi di cottura, i quali implicano un diverso trattamento termico, che può essere più o meno “spinto”.

Poiché gli oli di semi sono indubbiamente ricchi – come è stato scientificamente dimostrato – in acidi grassi essenziali per la nutrizione umana, per quanto riguarda l’olio di oliva sembrerebbe che, contenendone di meno, non abbia assolutamente a questo riguardo una posizione “privilegiata”. In tale ottica, da parte di specialisti – medici, dietologi e chimici – si pensò all’opportunità di fornire all’organismo umano il massimo possibile di questi acidi essenziali (contenuti appunto negli oli di semi), però tali eccessi ben presto si rivelarono possedere alcuni effetti secondari assolutamente negativi, come, ad esempio, il provocare nell’organismo umano una preoccupante carenza di vitamina “E”. Ciò, invece, non si è verificato con l’eccesso di uso di olio d’oliva, contenendo, infatti, questo “alimento-condimento” un chiaro rapporto ottimale fra vitamina “E” ed acidi grassi essenziali. Tali “esperimenti”, pertanto, non hanno ottenuto, in definitiva, altro scopo che quello di aver ribadito ancora una volta la netta supremazia – anche dal punto di vista nutrizionale – dell’olio di oliva nei confronti di quello di semi (tanto erroneamente decantato dalla pubblicità).

E per quanto riguarda l’olio di semi c’è inoltre da aggiungere che, durante le fasi di estrazione e raffinazione del prodotto viene distrutta la maggior parte proprio degli acidi grassi essenziali che i vari semi contengono; mentre invece il procedimento usato per l’estrazione dell’olio di oliva – che, come già accennato, consiste nella semplice spremitura meccanica delle drupe – non provoca alcuna distruzione di tali sostanze essenziali.

Circa, poi, l’uso che si fa dei eri oli, soprattutto per quanto concerne i trattamenti termici spinti, come ad esempio la frittura, va rilevato che la stabilità termica degli oli stessi non dipende dal tipo di olio in questione (sia se estratto dai semi di arachide, di mais, di girasole, o di colza etc., oppure spremuto delle olive), ma dipende principalmente dal “grado di acidità” dell’olio che è stato ottenuto. In pratica, se un olio di oliva ha un grado di acidità inferiore ad un olio di semi, sarà più stabile e quindi più “leggero” -come si dice comune: mente – dell’olio di semi stesso (come è appunto il caso dell’olio extra vergine di oliva, che ha un bassissimo tasso di acidità espresso in acido oleico: appena 1%); Se al contrario l’olio di oliva mostra un’acidità superiore a quella di un olio di semi (oltre,cioè, il 2-4%) si comporterà in modo peggiore durante la cottura rispetto a quest’ultimo. Riguardo, infine, alla presunta “tossicità” dell’olio d’oliva, quando lo si usa per la frittura, va sottolineato che la stessa non è da imputare all’olio di oliva in se stesso, bensì al fumo che si sprigiona dal prodotto sottoposto ad azione termica altamente “spinta” ed elevata. In sostanza, quindi, il problema è di ottenere oli di oliva con il minor grado possibile di acidità, in modo da rendere quest’olio ottimale anche per la cottura spinta (e in questo senso vale, ad esempio, il discorso che da più parti si va facendo appunto sull’olio “extra vergine” e su quello “sopraffino vergine” di oliva, i quali, avendo bassissimi tassi di acidità, usati per la frittura non sono soggetti a produrre “fumo”).

Per concludere, bisogna ancora una volta evidenziare che oggi la scelta ottimale degli oli – e degli alimenti in genere – da parte del consumatore, è resa particolarmente difficile per il martellante influsso della pubblicità, che attualmente è basata principalmente sulla suggestione. La fortuna commerciale di un prodotto dipende, infatti, molto dalla presentazione ed assai poco – purtroppo – dalla qualità intesa in senso tecnico (ed anche a ciò, oltre che al prezzo competitivo, è dovuta appunto la diffusione soprattutto degli oli di semi). Ed è proprio per questi motivi che oggi più che mai si avverte la necessità – veramente impellente – di studiare e organizzare, da parte dei competenti ministeri, una valida campagna nazionale di educazione alimentare, basata sulle reali proprietà organolettiche, qualitative, nutrizionali (la percentuale di acidi grassi essenziali contenuta, ad esempio, nell’olio d’oliva è analoga a quella contenuta nel latte materno) e merceologiche dei prodotti, che potrebbe riavvicinare i consumatori al “piacere” ed a tutti i benefici peculiari dell’olio extra vergine di oliva.

A questa problematica è fortemente interessata, prima fra tutte le regioni italiane, la Puglia che ha ben 366.000 ettari di oliveti, pari al 35% dell’intera superficie olivetata nazionale, ed una produzione di olio di oliva vergine, fine, sopraffino ed extra vergine tra le più consistenti e qualificate d’Italia e d’Europa.

Roberto A. Raschillà

© RIPRODUZIONE RISERVATA