Al Vinitaly la storia delle DOC italiane

Dott. Giuseppe Martelli, direttore generale dell'Associazione Enologi Enotecnici Italiani (Assoenologi)
Dott. Giuseppe Martelli, direttore generale dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani (Assoenologi)

Con una rinnovata particolare affermazione, tra gli altri, dei Vini del Tarantino e del Salento quali il Primitivo e il Negroamaro, oltre a quelli della Romagna come il Sangiovese e ad alcune autoctone tipologie di vini rosati, si è conclusa dopo quattro giorni (dal 7 al 10 aprile) di intense contrattazioni a Verona l’edizione 2013 del Vinitaly, l’importante kermesse della più prestigiosa enologia internazionale, che ha visto anche interessanti spunti convegnistici e incontri di studio sul settore, tra i quali una specifica attenzione ha registrato soprattutto il convegno di domenica 7 aprile dal titolo “l963/2013, il vino, la memoria, il futuro – La legge delle Doc dei vini compie 50 anni”.

Organizzato del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, e del Comitato Nazionale Vini DOP e IGP presieduto dal dott. Giuseppe Martelli, che, anche in qualità di direttore generale dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani (Assoenologi), ha svolto la relazione centrale sul tema “La storia delle DOC italiane”, il convegno ha caratterizzato appunto l’inizio ufficiale del 47esimo Vinitaly, che con le partecipazione di 4.200 espositori provenienti da 23 Paesi, aveva aperto l’avvio alla nuova puntuale sfida della vasta produzione vinicola del Belpaese per le conquiste dei mercati di tutto il mondo in uno specifico fortunato momento di espansione dei consumi e de1l’indiscusso successo del vino italiano a livello internazionale con un’esportazione che nel 2012 ha sfiorato i 9 miliardi di euro (più 6% rispetto al 2011, a quote 245,2 milioni di ettolitri).

Nelle sua dotta relazione al convegno stesso il dottor Martelli aveva voluto segnatamente mettere in luce e ricordare che dopo la prima guerra mondiale ere nata la necessità di regolamentare in Italia il settore vitivinicolo, e in particolare quello dei vini di pregio, tipici o di territorio, la cui tutela prima di allora era infatti affidata a larvate norme di carattere generale. Infatti nel 1920 il problema ere stato posto allo studio di un’apposita Commissione ministeriale che l’anno dopo presentò alla Camera il primo progetto di provvedimento per la produzione dei “vini tipici” che venne approvato dopo tre anni con il Regio decreto 7 marzo 1924 n.497 dal titolo “Disposizioni per le difese dei vini tipici”, convertito poi in legge il 18 marzo 1926, e perfezionato da alcune ulteriori normative nel 1930 con una nuova legge. Alla quale, essendo nel frattempo emersi svariati problemi e divergenze di interpretazione, segui l’emanazione di un’altra legge più ampia e affinata approvata nel 1937 con il titolo “Provvedimenti per la viticoltura e la produzione vinicola” comprendente pure le “Discipline della produzione e del commercio dei vini pregiati di determinata origine”, con la cui promulgazione venivano in pratica abrogate le precedenti normative approvate nel 1930.

Da qui – come specificato dal presidente del Comitato nazionale vini DOP e IGP, Martelli – il conseguente ampiamente criticato scioglimento dei Consorzi di tutela, l’annullamento delle delimitazioni territoriali ecc., in pratica del 1937 il nostro Paese – ritornando il settore vitivinicolo alle posizioni di partenza – rimase senza una valida legislazione che potesse tutelare i vini tipici, pregiati o d’origine. Un pericoloso vuoto legislativo, quello, che aprì un largo ed agguerrito confronto tra produttori e legislatori sulla difesa delle produzioni contro le varie contraffazioni, e che portò dopo ben ventisette anni ad avanzare molti dubbi sulla menzione “Vino di pregio”, ritenuta troppo generica e non corrispondente al territorio di produzione autoctone, ed a privilegiare il concetto di affermare le vera e propria “origine” del vitigno, ossia la sinergica armonizzazione del vino con il territorio, le sua culture e le sue tradizioni. Si arrivò, quindi, al 1957, quando con il Trattato di Roma si cominciò e parlare ufficialmente di “Vini a denominazione di origine” e si gettarono le basi per una efficiente regolamentazione europea dell’intero settore vitivinicolo comunitario.

Ciò che venne ipotizzato con il Trattato di Roma fu poi convalidato ufficialmnte con la normativa comunitaria del 4 aprile 1962, parlando per la prima volta di “Vini a denominazione di origine”, indicati in seguito come “Vini di qualità prodotti in regione determinate” (Vqprd) divenuti oggi Vini e “Denominazioni di origine protette” (DOP). Nel contempo furono quindi anche gettate le basi della vera e propria impostazione della politica vitivinicola comunitaria, che prevedeva già d’allora:
a) il catasto viticolo;
b) la denuncia annuale della produzione e delle giacenze;
c) le compilazione annuale di un bilancio delle disponibilità e del fabbisogno;
nonchè la costituzione di un apposito Comitato di gestione comunitario incaricato di attuare gli obblighi indicati. Dal canto suo il Governo italiano provvide in proposito a varare immediatamente una propria normativa sui vini a denominazione di origine promulgata con lo storico Dpr 13 luglio 1963 n.930. L’anno seguente venne pure istituito il “Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini”, più noto come “Comitato nazionale vini”. Varato esattamente il 24 aprile 1964, tale organismo del Ministero dell’Agricoltura prima e delle Politiche agricole alimentari e forestali oggi, ha in sostanza mansioni consultive, propositive e deliberative su tutti i vini designati con nome geografico.

Per concludere va quindi segnalato che l’articolato del Dpr 930 – come appunto infine ricordato dal dott. Martelli nella sua relazione – venne riscritto nel 1992 secondo la legge 164. Normativa la quale dopo diciotto anni, a seguito dell’entrata in vigore della nuove Organizzazione comune di mercato del settore vinicole (OGM vino) è stata emendata secondo il decreto legislativo 6l/2010.

Roberto A. Raschillà

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