A Taranto un altro patrimonio sommerso: “la colla di cozza”

Herbert WaiteDa diversi anni negli Stati Uniti si studia il collante prodotto dai mitili per aderire agli scogli, in quanto la sua efficacia è strabiliante: due cozze attaccate ad uno scoglio possono reggere il peso di un uomo di media statura. Jonathan Wilker, della Purdue University americana iniziò a interessarsi al problema nel 1999 facendo emergere (nel 2004) la dipendenza della colla da un ingrediente segreto, il ferro, una scoperta che avrebbe coinvolto interessi industriali oltreché scientifici. Osservando da vicino il mollusco si nota come resti aggrappato agli scogli mediante una serie di sottili filamenti, comunemente chiamati «barba», la cozza dispone di un organo con cui collega questi filamenti uno alla volta, attaccandoli agli scogli con una piccola goccia di colla a presa ultra rapida.
Grazie a Wilker sono state isolate le proteine di base che costituiscono la colla che, prima di indurire, ha l’aspetto e la consistenza di una gelatina, inoltre è stato individuato l’indurente: il ferro (novità per un materiale biologico) che lega fra di loro le fibre incrociate delle proteine, indurendo così il materiale.
La colla dei mitili è nota per la sua capacità di aderire praticamente a tutte le superfici, compreso il teflon (noto antiaderente), pertanto considerando l’origine biologica, è interessantissimo il suo uso per applicazioni mediche, per richiudere direttamente i lembi delle ferite o per ricostruire i nervi.
Oggi un gruppo di ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara, coordinato dal biologo professor Herbert Waite, è stato capace di riprodurre sinteticamente le proprietà del collagene dei molluschi, evidenziando che la secrezione del collagene delle cozze contiene proteine con una forte concentrazione di L-Dopa, un amminoacido utile per la riparazione di tessuti organici lacerati. La scoperta è stata presentata nei giorni scorsi a Boston, al meeting annuale della American Association for the Advancement of Science.
group_waite_research_labGrazie alle colle sintetiche messe a punto partendo dal principio naturale della cozza, ad esempio, si potrebbero installare all’interno di alcuni organi dei pazienti affetti da diabete dei “cerotti” in grado di secernere insulina; più in generale, il materiale potrebbe rivelarsi fondamentale nell’ambito della chirurgia, fornendo un supporto innovativo nella ricostruzione dei tessuti danneggiati. Ancora, le proprietà adesive verrebbero sfruttate per riparare i piccoli fori che possono formarsi nella membrana che circonda il feto nel ventre materno, impedendone così la rottura che porta sovente a travagli e nascite premature o, nel peggiore dei casi, ad aborti spontanei: la sperimentazione in laboratorio su materiale fetale della colla derivata dai molluschi ne ha effettivamente rivelato l’enorme potenziale sigillante. Nell’ortopedia e nell’odontoiatria potrebbe servire per la riparazione di ossa e denti. Per la creazione di idrogeni antibatterici e polimeri ad azione antitumorale, resistenti all’acqua e capaci di condurre farmaci all’interno delle cellule malate.
L’Italia ed in particolar modo la città di Taranto, ricca di sublimi cozze, dovrebbero sfruttare appieno queste clamorose scoperte anche perché gli studi non sono terminati, quindi potrebbero partecipare dando possibilmente un contributo scientifico ad ulteriori scoperte.

Related Publications

  • McDowell, L. M., Burzio, L.A., Waite, J. H., and Schaefer, J. (1999) REDOR Detection of crosslinks formed in mussel byssus under high flow stress. J. Biol. Chem. 274, 20293-20295.
  • Floriolli, R. Y., von Langen, J., and Waite, J. H. (2000) Marine surfaces and the expression of specific byssal adhesive protein variants in Mytilus. Mar. Biotech 2, 352-363.
  • Burzio, L.A. and Waite, J. H. (2000) Cross-linking in adhesive quinoproteins: Studies with model decapeptides. Biochemistry 39, 11147-11153.
  • Harder, P., Grunze, M. and Waite, J. H. (2000) Interaction of the adhesive protein mefp-1 and fibrinogen with methyl and oligo(ethylene glycol) terminated self- assembled monolayers. J. Adhesion 73, 161-177.
  • Waite, J. H., and Qin, X.-X. (2001) Polyphenolic phosphoprotein from the adhesive pads of the common mussel. Biochemistry 40, 2887-2893.
  • Stewart, R. J., Weaver, J. C., Morse, D. E., and Waite, J. H. (2004) The tube cement of Phragmatopoma californica: a solid foam. J. Exp. Biol. 207, 4727-4734.
  • Waite, J.H., Holten-Andersen, N., Jewhurst, S., Sun, C.J. (2005) Mussel Adhesion: Finding the Tricks Worth Mimicking. Journal of Adhesion, 81, 297-317.
  • Zhao, H., Sun, C.-J. Stewart, R. J., and Waite, J.H. (2005) Cement proteins of the tube building polychaete Phragmatopoma californica. J. Biol. Chem. in press