“Ambiente svenduto”: falsa partenza per il maxi-processo

DSC03147Niente da fare: l’attesa per l’avvio del maxi-processo originato dall’inchiesta “Ambiente svenduto”, quella che ha fatto finire sotto accusa l’Ilva di Taranto, dovrà proseguire per ancora una quarantina di giorni. Ad aver determinato il rinvio del procedimento è stata l‘omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza ad uno degli imputati. A seguito di questo inconveniente il dibattimento prenderà il via (salvo ulteriori imprevisti) il prossimo primo dicembre. E lo scenario non sarà più quello dell’aula “Emilio Alessandrini” del Tribunale tarantino. La “location” di questo caso giudiziario diventerà l’aula magna della Scuola dell’Aeronautica Militare, luogo ritenuto più idoneo per ospitare imputati, avvocati, parti civili e pubblico. Del resto, i numeri che caratterizzano questa vicenda sono di grande rilievo. Ad esempio, si tenga conto delle presunte parti offese (circa mille) che, puntando l’indice contro l’Ilva, si sono costituite in giudizio chiedendo danni milionari. Oppure, si pensi agli inquisiti (44 persone fisiche e tre società), ai legali, all’esercito di testimoni che sarà chiamato a deporre, ai numerosi capi d’accusa, alle centinaia di faldoni che custodiscono gli atti dell’inchiesta: in pratica, c’è tutto per ritenere che il processo contro l’attività industriale posta in essere dallo stabilimento siderurgico duri a lungo.

A dover decidere sulla sussistenza dei reati ipotizzati dalla Procura sarà la Corte presieduta dal dott. Michele Petrangelo (a latere la dott.ssa Fulvia Misserini e sei giurari popolari). Sarà questo l’organo giudicante chiamato a valutare le posizioni di alcuni ex amministratori dell’Ilva (primi fra tutti, Nicola e Fabio Riva) di diversi manager del colosso siderurgico, di professionisti e di politici (come il sindaco del capoluogo ionico, Ezio Stefàno, l’ex governatore della Regione, Nichi Vendola, e l’ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido). Vale a dire, coloro che sono terminati nel mirino della Procura sulla scorta di quanto emerse da accertamenti, intercettazioni telefoniche e perizie, elementi probatori capaci di far puntare l’indice contro l’Industria dell’acciaio perché accusata di aver mirato ad ottenere il massimo del profitto senza curarsi di adottare misure in grado di scongiurare sia l’inquinamento di un intero territorio (con tutto ciò che ne sarebbe seguito per la popolazione a livello di morti e malattie) sia il verificarsi di incidenti all’interno dell’azienda. Accuse e sospetti che hanno portato il pool di magistrati ad ipotizzare (a vario titolo e a seconda dei singoli imputati) contestazioni pesantissime, fra cui l’associazione a delinquere, il disastro ambientale, l’omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro e l’avvelenamento di sostanze alimentari. Che sono solo alcuni dei reati che vanno ad integrare una dolorosa storia giudiziaria di cui il  primo capitolo sta per essere scritto.