LA RIFLESSIONE- L’occupazione cresce, ma non per tutti

Il premier Matteo Renzi
Il premier Matteo Renzi

La notizia del giorno è questa: in un anno l’occupazione è cresciuta. E di parecchio se si pensa che nel giro di dodici mesi sono stati ben 325mila i soggetti che hanno trovato un lavoro. Non importa come, non importa per quanto, non importa dove: quello che conta sono i numeri, i dati che l’Istat ha diramato dopo aver preso atto di cosa è accaduto dall’agosto del 2014 ad oggi. Quanto emerso dalle analisi dell’Istituto rappresenta sicuramente un bel traguardo che ha indotto immediatamente il premier Matteo Renzi a ribadire che l’Italia riparte, che è davvero la volta buona per poter uscire dalle secche di una crisi lunga e dolorosa. Conscio che da fare c’è ancora molto, il capo del governo è comunque raggiante anche perché sostiene che tutto questo è il risultato delle riforme (tipo il “Jobs act”) che il Paese sta attuando fra mille difficoltà. Insomma, nonostante gufi, menagrami e disfattisti, si vede la luce in fondo al tunnel.  O, almeno, così sembra. E sì perché se da un lato il tasso di disoccupazione sta calando, dall’altro i “senza lavoro” restano sempre un esercito di circa tre milioni. Giovani che un’occupazione non l’hanno mai trovata, cinquantenni che il posto lo hanno perso nel momento peggiore dal punto di vista anagrafico, dipendenti di aziende che sono costrette a chiudere: fra quei tre milioni ci sono questi sfortunati che difficilmente riusciranno a rimettersi in gioco se non ci sarà una ripresa totale del Paese.  Che, francamente, non pare sia dietro l’angolo. E questo per più di un motivo.

Anche se ci si sforza di essere fiduciosi e positivi, non possiamo ignorare quello che succede intorno a noi. Purtroppo, spunta sempre qualcosa che è pronto a velare di amarezza il nostro sorriso. Gli esempi sono molteplici, ma pensiamo soltanto ai fatti delle ultime settimane, alla “crisi cinese” (ancora adesso la speranza è che non esploda definitivamente) o allo scandalo dei test truccati dalla Volkswagen o al problema migranti. Siamo di fronte a questioni che, giocoforza, coinvolgono anche e soprattutto l’Italia. E che per questo devono essere tenute in debito conto poiché capaci di “frenare” qualsiasi tipo di ripartenza.

Per quanto concerne il primo pericolo, gli esperti sostengono che per il momento non è il caso di fasciarsi la testa, la bufera è ancora lontana, anche se sarà meglio non sottovalutare alcun segnale che arriverà dalle Borse asiatiche. In altri termini, “non preoccupiamoci, ma stiamo in campana”. Davvero una bella consolazione…  Passiamo, poi, al “caso Volkswagen”. Con i milioni di vetture che saranno ritirate, dalle parti di Wolfsburg non stanno dormendo sonni tranquilli da diversi giorni. A rendere inquiete le nottate sono le incertezze legate all’esatta entità del danno economico e di immagine causato da una truffa che in pochi avrebbero immaginato essere stata ordita dai tedeschi (se l’avessero fatta gli italiani, statene sicuri: ci avrebbero già bombardato…). Qui il grande gruppo automobilistico rischia di lasciarci le penne e quel che è peggio, qualora questa sciagura dovesse materializzarsi, trascinerà tanti in un  precipizio dal cui fondo sarà improbo risalire (si rifletta soltanto sui contraccolpi occupazionali). Il terzo problema è quello che l’Italia sta affrontando da più tempo. Gli arrivi quotidiani di persone disperate che fuggono dalla guerra e/o dalla fame ormai non si contano. La verità è che la situazione (e non solo nel nostro Paese) è fuori controllo, ma guai a dirlo ad alta voce perché dalle “stanze dei bottoni” ci viene ricordato che l’Europa  sta tentando di trovare un rimedio. Peccato però che la stessa Europa abbia cominciato a farlo con ritardo, guardacaso quando il fenomeno ha cominciato a riguardare anche quelle Nazioni che si ritenevano immuni da un evento simile.

E sì, c’è poco da stare allegri se ci guardiamo intorno.   Ma, tutto sommato, si tratta di questioni a cui ci stiamo abituando. Oggi a risollevarci c’è la notizia del giorno: l’occupazione cresce. Peccato però che non tutti se ne siano accorti, soprattutto quei 3 milioni a cui riesce davvero difficile trovare un lavoro. E non per propria incapacità.