Nell’agroalimentare la carta vincente è sempre la tipicità dei prodotti

AgroalimentareOggi che più che mai il consumatore in genere, semplice acquirente o avveduta massaia che sia, viene costantemente assalito da dubbi su ciò che deve mangiare e bere per il bombardamento di cattive notizie di sofisticazioni e manipolazioni varie in campo enogastronomico, ed uno dei mezzi di difesa più affidabili è certamente quello di puntare risolutamente alle produzioni tipiche. Identificate con sicurezza per le – più da specifiche leggi, ed esempio in marchi quali “Dop” (denominazione di origine protetta), “Igp” (indicazione geografica protetta), “Doc” (denominazione di origine controllata), “Docg” (denominazione di origine controllate e garantita), “Igt” (indicazione geografica tipica), i quali indubbiamente raffigurano l’emblema ottimale che l’agricoltura e l’agroalimentare del Belpaese possano mettere in campo nella sempre più accanita sfida che proprio in questi ultimi tempi si è aperta, andando continuamente maggiormente eccentuandosi, sul mercato a livello globale.

E certamente non a caso la gran parte degli imprenditori del settore ha finalmente compreso che le linee strategiche per potersi garantire un futuro scevro da problemi sono costituite appunto delle formazione, dalla puntuale informazione, dalla attenta certificazione delle qualità, dalla sana comunicazione pubblicitaria e soprattutto da un incisivo marketing a tutti i livelli possibili. E sono proprio questi gli elementi che portano le regioni italiane sui mercati mondiali con produzioni qualificate e promosse in maniera adeguate, con la convinzione che si tratta di una strada indispensabile da percorrere senza indugi, tra l’altro in vista, prioritariamente, di un non tanto lontano ingresso nell’Unione Europea dei cosiddetti Peco, cioè i Paesi dell’Europa centro orientale. I quali, tra l’altro, pur avendo potenzialità davvero enormi non sono comunque attualmente ancora in grado di poter offrire, fortunatamente, le stesse caratteristiche delle nostre produzioni nazionali, legate al territorio, certificate come sicure, fatte conoscere e apprezzare dei consumatori, e del tutto meritevoli pertanto di quel giusto valore aggiunto con cui si offrono al mercato e di quell’apprezzamento del quale vengono unanimemente gratificato.

Al riguardo bisognerà d’altra parte, in ogni caso, pure pensare e quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi alle produzioni agricole italiane dopo l’entrata in vigore delle nuova Pac (Politica agricola comunitarie) attualmente in discussione a Bruxelles, sia per quanto riguarda il presente regime di sostegni al reddito dei produttori e dei piccoli agricoltori, sia per ciò che ancora concerne i vecchi accordi “Wto“. Fra breve, secondo i primi orientamenti già prevalsi al Parlamento europeo, l’agricoltura italiana di sicuro potrà disporre di una quantità di risorse alquanto inferiore a quelle attuali, e dunque si dovrà essere coscienti sin da ora che gli attuali aiuti verranno meno, mentre – come già accennato – la concorrenza verrà ad allargarsi a dismisura in un sistema di mercato globale dove, oltre che sul piano della qualità si dovrà pensare di poter competere adeguatamente anche su quello dei prezzi.

E per questo bisognerà indirizzare tutte le risorse disponibili verso investimenti mirati, secondo le scelte strategiche dove le produzioni di qualità e a denominazione di tipicità possano occupare spazi davvero molto importanti, insieme a nicchie anche se piccole ma essenziali. Tutte le regioni agricole italiane possono con: tare su enormi professionalità e su grandi numeri per quanto concerne la qualità unita alla tipicità ( basti solo pensare alle produzioni di vino e denominazione di origine controllata, agli oli di oliva sopraffini ed extra vergini, ai salumi e ai formaggi Dop, alle carni certificate, ecc.) : bisogna soltanto costruire una solida necessaria intelaiature, perché questo sistema si rafforzi e venga conosciuto meglio e adeguatamente apprezzato dei consumatori nazionali ed esteri.

Ed un prodotto veramente “tipico” per essere considerato esclusivamente tale, deve fare riferimento – come sostiene l’economista ed enogastronomo pugliese Paolo Perulli – ad un preciso standard qualitativo derivato da particolari caratteristiche della materia prima, dell’uso di specifiche tecniche di lavorazione; esso è frutto della tradizione, ma deve anche confrontarsi con le esigenze del consumatore moderno che richiede tipologie costanti. Una forma di formaggio non perfettamente riuscita oppure un salame con chiari difetti di stagionatura, un tempo, in un mercato locale ristretto e disattento, influivano relativamente sulla domande del prodotto; oggi non è più così e se il prodotto tipico vuole affermarsi e imporsi deve necessariamente confrontarsi con una produzione qualitativamente perfetta, adottando tutti gli accorgimenti suggeriti dalla tecnica senza intaccare le sue stesse “tipicità”. In quest’ottica va quindi giustamente anche evidenziato che quando si parla di “qualità” si intende come tale un concetto di difficile definizione perché comprende tutta una serie di aspetti diversi: dalla igienicità alle proprietà nutrizionali; dalla deperibilità alla praticità d’impiego. I prodotti tipici devono avere elevati gradi di qualità, ma la loro carta vincente è soprattutto sul piano delle caratteristiche organolettiche, ossia su ciò che appaga i sensi: gusto, vista ed olfatto. I quali devono poter riconosce ed esaltare i loro pregi di originalità.

C’è però anche l’altra faccia della medaglia; infatti il cliente consumatore spesso non riesce ad orientarsi e dovere, in un modo che frequentemente usa ed abusa dell’aggettivo “tipico”. La legislazione italiana, quelle dell’Unione Europea – come si evidenziava all’inizio – e nel contempo anche alcuni accordi internazionali sull’argomento, prevedono appunto la tutela e la protezione delle tipicità ed istituiscono, accanto al classico marchio d’impresa, insieme e marchi collettivi e denominazione di origine che garantiscono composizione, caratteristiche e requisiti di ogni prodotto. Me la legislazione generale è ancora lontana da una chiarezza ed univocità, indispensabili per non diventare controproducente sia per il produttore che per lo stesso consumatore finale.

E per concludere ve infine sottolineato che oggi in Europa e nel mondo ad economia avanzata c’è giusto un consumatore diverso da quello degli anni passati; un consumatore che ha anche delle equilibrate esigenze in più: di salubrità, di peculiarità, di certificazione di tutte le caratteristiche che richiede. Ma è pure un consumatore attento, che guarda anche al di là del prodotto, ricercandone il contenuto d’immagine, vuole sapere perché i prodotti che acquista hanno “quelle” specifiche loro peculiarità, chi li produce, dove si producono, qual è le storia e la cultura del territorio di produzione, e soprattutto il sistema agricolo adottato.

Roberto A. Raschillà

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