Regole severe europee per la carne biologica ne frenano il consumo

Regole severe europee per la carne biologica ne frenano il consumoIl recente scandalo della carne di cavallo e marginalmente anche di quella suina contrabbandata fraudolentemente nella confezione di scatolame e determinati prodotti alimentari “pronti” o surgelati, sta riportando prepotentemente alla ribalta il problema della cosiddetta “carne biologica” e del suo consumo specifico nei vari Paesi dell’Unione Europea, logicamente Italia Compresa.

Al riguardo la maggior parte dei consumatori è portata generalmente a ritenere che come “carne biologica” si debba intendere esclusivamente quella che viene prodotta con metodi antichi o naturali acquistata in macellerie specializzate, oppure direttamente dallo stesso produttore, o allevatore che dir si voglia. Ma in realtà non è così: la carne che si può fregiare della indicazione “biologica” è in effetti solo quella che risponde ai rigidi requisiti produttivi imposti appunto dall’Unione Europea che impone regole molto severe in materia.

Ed appunto gli scandali alimentari di questi mesi e le epidemie che hanno colpito il comparto della zootecnia europea negli ultimi anni certo non aiutano ad infondere fiducia nel consumatore che, proprio per questo, tende razionalmente a cercare rassicurazioni sul cibo che consuma affidandosi – visto che quando si parla soprattutto di carne la confusione oggi è davvero tanta — a chi o a ciò che conosco. E così, c’è chi pensa che la carne biologica sia quella prodotta nella propria zona o in un’altra ma che evochi un’immagine assolutamente affidabile e sicura; oppure, ancora, che sia quella dove si allevi una specifica razza nel caso della carne bovina. Tali idee, considerate piuttosto vaghe, portano indubbiamente spesso i consumatori a considerarsi piuttosto tranquilli al momento dell’acquisto, da un marchio che possa in qualche modo richiamarsi alla natura.

Invece va tenuto presente in proposito che la carne “biologica”, come veramente tale, è da considerare solo quelle ottenuta seguendo un preciso metodo di produzione basato esclusivamente sullo stretto legame tra bestiame e superfici agricole, nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale, per fornire veramente alimenti di alta qualità certificata. Comunque a tutela del consumatore questa enunciazione non basta e per questo l’Unione Europea ha emanato a suo tempo una normativa, con la quale disciplina dettagliatamente ciò che si dare fare, ciò che si può fare e quello che è assolutamente vietato in tema di allevamento e di macellazione. A maggiore garanzia l’Ue ha pure previsto che chi volesse utilizzare la dicitura “biologico” debba sottostare a tutta una particolare serie di controlli effettuati da organismi riconosciuti dalle rispettive autorità di ogni Paese membro. E a maggiore ulteriore tutela degli acquirenti all’origine e dei consumatori finali, anche il nome dell’ente certificatore deve apparire bene in vista sull’etichetta dei prodotti biologici confezionati e posti in vendita al dettaglio.

In ogni caso, per ora i consumi di carne “biologica” rappresentano solo lo 0,40 per cento di quelli totali di carne nel Belpaese, ma si prevede un loro costante aumento, registrando la maggiore richiesta da parte delle zone del Nord-Est.

Malgrado ciò, la grande distribuzione — ipermercati e supermercati — preferisce vendere soltanto carne “garantita”, commercializzata comunque con propri marchi, al posto di quella “biologica”. In tal caso la “garanzia” del prodotto è offerta dalla stessa catena di distribuzione — e non da un ente terzo —, la quale si assume unitariamente l’impegno di fissare le regole produttive e di controllare gli allevatori.  Questo logicamente permette alle grande distribuzione organizzata di poter generalmente mantenere i prezzi a livelli lungamente più bassi e competitivi rispetto a quelli dei prodotti biologici ottenuti con vincoli più stretti, maggiori e più costosi.

L‘altra faccia della medaglia è tuttavia costituita dalla stesse scarsità quantitativa della “carne biologica” prodotta in Italia, che rappresenta, insieme al prezzo non competitivo, un ulteriore freno allo sviluppo e al consumo di una tale interessante nicchia di mercato, anche perché, tutto sommato, sui banchi di vendita delle macellerie in effetti la carne di provenienza estera che viene normalmente importata del mercato nazionale, non ispira ai consumatori le stessa fiducia della carne prodotta da animali italiani. Eppure è da tenere presente che in ogni caso la carne “biologica” proveniente dagli altri Paesi della Comunità Europea, viene sottoposta alle stesse regole severe applicate a allevamenti italiani. Significando ciò che il prodotto estero comunitario è perfettamente uguale dal punto di vista legislativo a quello “biologico” di origine italiana, e non necessariamente quello che è considerato “biologico” debba essere il risultato di allevamenti “nostrani”. Un prodotto, infatti, vale l’altro sia dal punto di vista della sicurezza sia per quanto riguarda il suo apporto nutrizionale e qualitativo.

Roberto A. Raschillà

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