Gli enologi enotecnici ed il progresso del settore vitivinicolo italiano

vinoÈ ormai ampiamente risaputo che nel complesso e variegato settore vitivinicolo che caratterizza l’agricoltura del Vecchio Continente e di una buone altre parte del mondo, la tradizione non può riuscire più e risolvere da sola i veri problemi che da sempre affliggono le vigne, non migliora le qualità dei derivati della vite, non aiuta i bilanci e gli sviluppi delle aziende, e che proprio il vino, alla pari di ogni qualsivoglia prodotto biologico alimentare, se non ha il supporto di un’adeguata tecnologia difficilmente raggiunge il desiderato livello di qualità.

E allorché ci si riferisce alle “tecnologie” necessariamente si è portati oggi e parlare di tecnici specialisti nel comparto delle vitivinicolture e quindi di enologi ed enotecnici, ossia di qualificati professionisti (che in Italia sono, nelle loro quasi totalità, rappresentati appunto dall’Associazione enologi enotecnici Italiani — Assoenologi). Mentre per rendersi meglio conto dell’importanza che assume al giorno d’oggi le tecnologie proprio nel settore vitivinicolo, e per poter adeguatamente dimostrare al riguardo giusto i ruoli che l’Enotecnico prima e subito dopo anche l’Enologo hanno avuto ed hanno nell’attuale gestione del comparto per il continuo miglioramento ed il progresso della vitienologia, basta osservare in un sintetico percorso le principali tappe che sono riuscite a caratterizzare la viva, puntuale, evolutiva trasformazione delle vigna e dei suoi prodotti”

Dunque, ripercorrendo con la stessa Assoenologi gli avvenimenti che hanno improntato la strada della nostra viticoltura e dei suoi derivati, vediamo che tre la metà e la fine dell’Ottocento la vite e di conseguenze il vino rischiarono pericolosamente di sparire dalle zone agricole europee e causa dell’invasione dall’America di tre gravi parassiti: l’oidio, la filossera e la peronospera. La viticoltura di quasi tutta Europa uscì de un tale preoccupante trauma profondamente trasformata e fortemente turbata, ma assolutamente consapevole che il suo futuro, la sua salvezza e il suo effettivo sviluppo erano strettamente legati alla ricerca, alla sperimentazione, ad una sapiente tecnologia fortemente capace di poter efficacemente sopperire ad ogni eventuale nuova calamità.

Le pesanti preoccupazioni e il consistente palese pericolo suscitati dai tre insidiosi parassiti fecero intuire ai vignaioli che con le secolari pratiche colturali tramandate da padre in figlio non si poteva più andare avanti, e che quindi era venuto il tempo di pensare a nuovi concetti di formazione agraria affidandosi alla biologia e maggiormente alle cure fisiologiche dei vitigni e dei terreni, ricercando e studiando le cause che risiedono alla base dei vari fenomeni, e convincendosi che ormai la vecchia tradizione autoctona non poteva assolutamente aiutare i viticoltori e combattere le calamità naturali indirizzandoli a valide forme di difesa e di prevenzione.

E così nel l876 veniva avviata e Conegliano, ridente centro agricolo del Trevigiano, la prima grande vera Scuola di enologia italiana, con l’obiettivo di formare tecnici specializzati e adeguatamente preparati, che fossero veramente in grado, con la loro specifica preparazione, di poter seguire e far progredire, su solide basi scientifiche, il già martoriato settore vitivinicolo nazionale. Costituendo, quindi, la nuova figura dell’enotecnico, appunto l’indispensabile fattore determinante su cui ben presto sarebbe venuto a basarsi tutta la moderna vitienologia.

In quest’ottica ben presto fu possibile ottenere intere filiere di prodotti categoricamente migliori, e vini senza difetti significarono — come tiene a sottolineare appunto l’Assoenologi in un suo puntuale e abbastanza circostanziato studio pertanto mercati più accessibili, e conseguente crescita delle richieste con sostanziali incrementi di remunerativi affari per i viticoltori. Vennero quindi create le prime Cantine sociali cooperative, dirette de enotecnici, con lo scopo di vinificare e curare i prodotti di quegli agricoltori, i quali per mancanza di adeguate attrezzature e di valide conoscenze specifiche in campo agrario, molto spesso erano costretti a vedere vanificato il lavoro di intere annate. Venne perfezionata la fermentazione in bianco, come pure quella a temperatura controllata, dando nel contempo sempre più importanze alle analisi enochimiche, ai controlli microbiologici e all’accurata igiene della cantina; consentendo, in tal modo, un sensibilissimo aumento della qualità delle produzione vinicole del nostro Paese.

Mentre mutava notevolmente — come evidenzia ancora lo studio dell’Assoenologi — il modo di vendere e di acquistare. Così che per praticità, igiene e razionalità, alle damigiane andava sempre più sostituendosi la bottiglia anche Per i vini comuni da pasto per tutti i giorni. Una tale radicale trasformazione implicò per le cantine una più corrispondente organizzazione, con la scelta e l’uso di tecnologie del tutto più avanzate nella complicata e non facile pratica dell’imbottigliamento; tanto da spingere il grande e prestigioso produttore vinicolo Ezio Rivelli, tra l’altro anche per ben dodici anni presidente dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani, a mettere a punto una speciale tecnologia di imbottigliamento che avrebbe potuto dare assoluta garanzia al vino in grado di permettergli, scevro di particolari problemi, di sopportare lunghi viaggi anche via mere, e di attraversare addirittura l’Oceano conservando integre le sue prerogative biologiche. E proprio una tale sostanziale metamorfosi, che rappresenta in effetti l’evoluzione della storia Enologica italiana, ha avuto ed ha, a livello prettamente tecnico, un vero e proprio principale protagonista, cioè l’enotecnico, oggi anche enologo laureato.

La cui categoria, come già accennato, è assai prestigiosamente rappresentata appunto dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani la quale, fondata nel 1891 è oggi le più antica associazione al Mondo del settore vitivinicolo, con sede centrale a Milano e 17 delegazioni periferiche regionali e interregionali che garantiscono le presenza sull’intero territorio nazionale, affiliando oltre il 90 per cento dei tecnici vitivinicoli attivamente impegnati nel settore, di cui ben il 40% inquadrato con mansioni direttive in cantine private e sociali cooperative, mentre il 10% svolge l’attività di libero professionista, e il rimanente svolge mansioni diverse.

Al riguardo, a questo punto va anche ricordato che proprio con l’apertura delle frontiere europee, non solo alle merci ma anche alle attività intellettuali e quindi alle professioni, a fine anni Ottanta del secolo scorso nacque la necessità di far riconoscere nel nostro Paese il titolo di enologo, dato che era del tutto assurdo che appunto uno dei primi Paesi vitivinicoli del mondo non potesse contare di avere un professionista riconosciuto, ma solo un perito agrario specializzato in viticoltura ed enologia con l’unica qualifica professionale di enotecnico. Per risolvere tali problemi venne promossa dall‘Assoenologi la promulgazione di una legge atta a riconoscere in Italia il titolo di Enologo, fissandone la preparazione a livello universitario, cosi come sancito dalle direttive comunitarie e stabilendone l’ordinamento professionale. La legge venne quindi approvata del Parlamento italiano il 10 aprile del 1991. Con relativo decreto, poi nel 1997 il Ministero delle Politiche agricole demandò all’Assoenologi la gestione del titolo di Enologo. Attualmente gli iscritti all’Associazione sono circa quattromila.

Roberto A. Raschillà

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