Giovanni Pascoli Politico Utopista

Giovanni PascoliUn aspetto quasi misconosciuto dell’esistenza del grande poeta letterato di cui quest’anno ricorre il centenario della morte, è indubbiamente quello, del quale peraltro ben pochi parlano, e che riguarda il giovane Giovanni Pascoli politico utopista ante litteram a modo suo, quando, dopo una prima fase di vita vissuta con l’attrazione degli ideali anarchico-insurrezionali, diviene un fervente socialista rivoluzionario. Che pur proveniente da una, in un certo senso, opulenta borghesia rurale, viene improvvisamente a trovarsi declassato, sul piano sociale, dopo il misterioso assassinio del padre.

La sua famiglia volle comunque assicurargli un’istruzione superiore, e grazie ad una borsa di studio, impegnandosi autonomamente poté cosi svolgere il ruolo di intellettuale di estrazione piccolo-borghese, avvicinandosi quindi alle idee che a quei tempi in pieno decollo del nuovo capitalismo industriale gli apparivano essere le più democratiche. Che comunque non erano però quelle propugnate da Mazzini, allora ancora in voga, le quali per quanto potessero sembrare repubblicane e anticlericali, non recepivano se non in minima parte la natura dei correnti conflitti sociali, ma piuttosto quelle vere e proprie di autentica estrazione socialista. Dapprima coltivate nella loro essenza assolutamente teorica dell’anarchismo bakuniniano, e poi nella forma più pratica del genuino socialismo rivoluzionario, che avrebbe dovuto usare addirittura gli stessi apparati statali per far valere, in un breve periodo di transizione, gli obiettivi principi della rivoluzione, intesa soprattutto come riscatto di una classe proletaria vessata dalla “longa manu” del capitalismo imperante.

Al riguardo va oltre tutto tenuto presente che il Pascoli visse la sua gioventù più appassionata in un periodo politico assolutamente alquanto vivace, metaforicamente addirittura paragonabile a quello dei giorni nostri caratterizzato dal decennio sessantottino e cioè dei moti studenteschi che vanno appunto dal 1968 al 1977.

E questo, mentre già a Londra, prendendo spunto da un comizio di solidarietà con la Polonia oppressa, era stata costituita il 28 settembre 1864 la grande “Associazione Internazionale dei Lavoratori”, prima vera e propria importante organizzazione laica non statuale nella storia del movimento proletario mondiale. Il cui programma insieme allo statuto che erano stati elaborati addirittura dallo stesso Marx (e in seguito profondamente studiati dal giovane ventenne Pascoli), indicavano chiaramente i veri obiettivi dell’auto-emancipazione collettiva, della collaborazione internazionale e della assoluta conquista dei poteri politici da parte del proletariato.

Va intanto ricordato che malgrado vari successi, l’Associazione venne in seguito letteralmente sbrindellata da gravi contrasti sulla necessaria strategia di lotta che contrapposero le idee dei seguaci di Marx prima a quelle di Proudhon e Mazzini, e quindi, a quelle di Bakunin e Blanqui. Il dissidio che nel frattempo si era andato ingigantendo, divenne addirittura del tutto insanabile dopo la guerra franco-prussiana del 1870 e la imprevista fallimentare conclusione della Comune di Parigi del 1871, e durante il quinto Congresso svoltosi all’Aia nel settembre del 1872 fu decretata la definitiva espulsione degli anarchici seguaci di Bakunin, i quali si raggrupparono immediatamente nella cosiddetta “Alleanza della democrazia socialista”, che era stata fondata dallo stesso Bakunin a Ginevra nel 1868. Gli anarchici bakuniniani dopo essersi riuniti per la prima volta come “movimento nel movimento” nel 1872 a Saint-Imier, tennero in vita ben cinque anni tale nuova “Internazionale” considerata a sua volta “antiautoritaria”, in quanto del tutto contraria a qualunque funzione statale. Invece, dal canto suo, intanto il Consiglio della prima Internazionale decise di deliberare quindi all’Aia di trasferire la propria sede in America a New York, e appena quattro anni dopo, al Congresso di Filadelfia del 1876, decise il definitivo scioglimento dell’Associazione, giacché nel pensiero marxista essa aveva oramai assolto del tutto il suo compito e doveva pertanto dar luogo allo sviluppo dei conseguenti partiti operai e socialisti nei singoli Paesi europei e d’oltre Atlantico.

Ed è proprio, dunque, che in questo quadro e in una tale ottica il giovane Giovanni Pascoli divenne protagonista principale nella sua Romagna e in Emilia, della propagazione delle fondamentali prime idee anarchiche e socialiste manifestatesi nel Bel Paese. Trasformando quindi gli stessi ideali del socialismo rivoluzionario in una specie di necessaria esigenza di giustizia dell’uomo naturale, vale a dire dell’uomo che deve innanzitutto cercare di sviluppare i propri “sentimenti originari”, rintracciabili più facilmente nella coscienza di chi, al pari di un bambino, nulla ancora conosce della proprietà privata e della lotta di classe. Abbandonando di conseguenza più o meno definitivamente la politica attiva per concedersi quasi totalmente agli studi e ai piaceri della poesia e alle soddisfazioni dell’insegnamento scolastico prima e universitario dopo, non trascurando comunque del tutto una certa militanza concettuale nel vecchio idealismo socialista.

Successivamente, pertanto, con l’avanzare nell’età il Pascoli ormai non più giovane, al socialismo eversivo inizia a privilegiare quello laico delle carità, cioè quelle puntuali forme di solidarismo individuale e solidale che una volta moltiplicate possono divenire vero e proprio costume sociale, tanto che il socialismo del Pascoli maturo può senz’altro essere definito come una sorta di socialismo “umanitario e naturalistico”, in altre parole, come la reale prosecuzione, in un certo senso, del “naturalismo” democratico di Rousseau.

In sostanza, per concludere, va evidenziato a questo punto che il Pascoli, dopo tutto, parteggiando in cuor suo per la piccola proprietà rurale, per le autonomie municipali, scolastiche e universitarie, si sentiva un autentico patriota della nazione proletaria, ancora comunque profondamente contadina ed analfabeta, che andava necessariamente riscattata da secoli di miseria e di oppressione politica e burocratica oltre che specificamente sociale e latifondista. Tanto che il pensiero di Pascoli può essere largamente considerato alla stregua, inconsciamente, di una sorta di nazionalsocialismo della piccola proprietà rurale che potesse permettere la conduzione di un’esistenza dignitosa senza inutili dispersioni. esagerazioni e lussi. Idea questa che poteva apparire già a quel tempo assolutamente del tutto utopistica se per realizzarla non si fosse fatto ricorso alla chiamata in causa della necessità impellente di una riforma agraria che spazzando il latifondo sin dalle sue radici, riuscisse a ridistribuire gratuitamente le terre ai contadini diseredati.

Roberto A. Raschillà

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