
Il grande fotografo milanese Gabriele Basilico, classe ’44, è morto dopo una lunga malattia. Ha celebrato la bellezza dei paesaggi con una particolare attenzione all’architettura incorniciando gli spazi urbani e documentando il lento trasformarsi delle più famose città del mondo. Un poeta, un architetto, un fotografo è difficile racchiudere la sua figura in un’unica professione, da giovane ha studiato per tre anni architettura ma nel ’68, periodo delle contestazioni studentesche, capì che i banchi universitari non servivano più per disegnare. Vide nella macchina fotografica la sua valvola di sfogo, la sua fonte di reddito e soprattutto il mezzo per partecipare appieno al grande cambiamento.
Dai cortei passò ad analizzare e fotografare l’architettura, sfruttando i suoi studi e la sua passione, e così aprì uno studio in via Brera, sempre a Milano, cominciando a catalogare le aree dismesse della sua metropoli. Alla maniera di Bernd e Becher cultori dell’archeologia industriale fotografata inesorabilmente in bianco e nero.

L’investitura internazionale: nel 1984 fu scelto dal governo francese come unico artista italiano a lavorare alla missione fotografica della Datar, una vasta e articolata campagna itinerante in tutto il continente europeo. “Il lavoro era interessante e di grande responsabilità, perché permetteva all’autore di fare un progetto e svilupparlo in modo molto libero”, diceva in proposito Basilico, rimarcando la propria esigenza di assoluta libertà artistica.

Negli anni novanta divenne celebre il suo reportage fotografico su Beirut, dopo la guerra.”Con le sue immagini, dalla controllata, consapevole tensione metafisica – scriveva Italo Zannier nella Storia della fotografia italiana – egli ha efficacemente collaborato a presentare in questi ultimi anni il gusto post modern, rilevando visivamente alcune dimenticate architetture industriali e di periferia, rivalutate come reperti archeologici e fissate con un chiaroscuro intenso ed una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni ’30″.
Con la sua macchina ha poeticamente raccontato altre città, da Napoli a Milano, Roma, Berlino, Buenos Aires, Istanbul.
